Una spiegazione chiara ed esaustiva, almeno a livello divulgativo, della nuova fisica che ha finalmente coniugato scienza e spiritualità.
Una rivoluzione culturale mancata
Introduzione a David Bohm, Universo, Mente,
Materia
(Titolo originale: Wholeness and the Implicate Order
)
Alla fine dell'Ottocento la fisica sembrava ben avviata verso
una trionfale comprensione di tutti i fenomeni da essa studiati. I principi
teorici (meccanica, elettromagnetismo, termodinamica) sembravano solidamente
stabiliti e la loro formulazione aveva raggiunto un alto grado di eleganza
matematica. Anche la loro applicazione all'interpretazione e previsione di
risultati sperimentali continuava a mietere spettacolari successi. Si aveva
quasi l'impressione che il grande lavoro creativo, nel campo della fisica, fosse
ormai compiuto e che ai fisici delle generazioni future non restasse altro
compito che riempire i dettagli di un quadro già tracciato nelle sue grandi
linee. E' vero, alcuni problemini relativamente marginali erano ancora
ostinatamente insoluti e indubbiamente costituivano dei nei in questo quadro
fondamentalmente luminoso. Ma ci si poteva ragionevolmente attendere che non
avrebbero resistito a lungo all'assalto dei potenti mezzi della
fisica.
Uno di questi piccoli nei era il cosiddetto problema dello spettro del corpo nero. Sostanzialmente il
problema consisteva in questo. Un corpo caldo irraggia energia di varie
frequenze (raggi infrarossi, luce visibile, se è molto caldo, eccetera).
Sommando l'energia di tutte le frequenze si trovava che l'irraggiamento totale
doveva essere infinito, cosa che veniva detta catastrofe
ultravioletta
e
che manifestamente contraddiceva le più elementari osservazioni
sperimentali.
Nell'anno 1900, lavorando su questo problema, Max Planck ebbe
un colpo di fortuna matematico: sommando
l'energia irraggiata da un corpo caldo in pacchetti discreti, in quanti di
energia, anziché in modo continuo, l'irraggiamento infinito scompariva. Né
Planck né i suoi colleghi, all'epoca, si resero conto che questa elegante,
sorprendente, e dapprima relativamente incomprensibile, soluzione della catastrofe del corpo nero apriva la via a una
catastrofe di proporzioni ben più vaste: quella dell'intera fisica che essi
conoscevano e, alla lunga, di un'intera visione del mondo basata sul concetto
di cose , oggetti reali concretamente
esistenti localizzati nello spazio e nel tempo.
La rivoluzione contenuta in nuce nel risultato di Planck
raggiunse il suo pieno sviluppo un quarto di secolo più tardi. Fra il 1920 e il
1930 la fisica dei quanti assunse sostanzialmente la sua fisionomia definitiva,
che resta a tutt'oggi la struttura portante della nostra comprensione del mondo
atomico e subatomico. Nello stesso tempo esplose anche il dibattito sui problemi
interpretativi, sui paradossi e sulle conseguenze filosofiche della nuova
teoria.
Un paradosso, non della fisica quantistica, ma della storia del
pensiero, è il fatto che, benché siano passati quasi settant'anni (la durata di
una vita umana!) da quegli eventi e benché la tecnologia basata su quegli
sviluppi sia penetrata in ogni aspetto della nostra vita quotidiana, la
rivoluzione concettuale che essi hanno portato nella fisica non ha ancora
sostanzialmente toccato il nostro modo di pensare in generale. La nostra visione
di noi stessi e del mondo è ancora sostanzialmente basata sulla fisica del
secolo scorso. Non solo, ma i modelli della fisica classica ottocentesca, mentre
perdevano validità in seno alla fisica, estendevano vittoriosamente la loro
influenza ad altre discipline scientifiche, per esempio la biologia, dove
continuano a dominare il modo di pensare della maggior parte dei ricercatori, e
la psicologia, dove alcune correnti risentono fortemente di modelli fisici che
nel loro proprio ambito sono divenuti obsoleti.
Insomma, sembra esserci un'enorme distanza fra l'immagine
complessa, problematica, fluida, della realtà che la fisica moderna suggerisce e
la visione relativamente solida, concreta e statica che tuttora organizza i
nostri rapporti con gli esseri umani e con la natura.
Ci sono varie ragioni per questo fatto. Una è indubbiamente la
natura problematica, suscettibile di molteplici interpretazioni e altamente non intutitiva della visione che la fisica
quantistica ci propone. Questa problematicità fa sì che, fra gli stessi fisici,
la maggior parte si accontenti di utilizzare l'enorme potenza dello strumento
matematico fornito dalla teoria, accantonando il problema di comprenderne le
implicazioni filosofiche.
Ma questa rinuncia, come David Bohm sottolinea, è un'immensa
perdita. Bohm è stato uno di quegli spiriti appassionati che non si sono
accontentati di contribuire in senso tecnico allo sviluppo della fisica, ma si è
interrogato continuamente sui grandi problemi di fondo della conoscenza e
dell'esistenza, i grandi problemi che si aprono sul mistero di chi siamo, da
dove veniamo, dove andiamo, cos'è questa stupenda e inafferrabile realtà in cui
siamo immersi. Adottare un atteggiamento pragmaticamente tecnico, abdicando al
compito infinito di comprendere la realtà nel suo complesso, significa, secondo
Bohm, lasciare che visioni del mondo superficiali e meccaniche riempiano il
vuoto lasciato dalle vecchie metafisiche e governino il nostro modo di
rapportarci a noi stessi, agli altri esseri umani e alla natura. In questo senso
la mancata rivoluzione culturale della
fisica quantistica è forse veramente una catastrofe, nel senso ordinario e
rovinoso del termine.
Le riflessioni sulla natura della realtà suggerite dalla fisica
moderna presentano una naturale contiguità con il pensiero mistico di ogni
tempo. Ne sono testimoni, fra l'altro, gli scritti di molti fisici illustri, fra
cui Bohr, Heisenberg, Schrödinger, Einstein, Pauli, Eddington e lo stesso Bohm,
che è stato a lungo amico e discepolo di J. Krishnamurti, uno dei più
straordinari mistici contemporanei. Non stupisce perciò che, al di fuori
dell'ambito della fisica (e in parte della filosofia), la rivoluzione
quantistica sia stata recepita soltanto da alcune correnti del pensiero New Age,
della parapsicologia e dell'esoterismo. L'uso che ne è stato fatto in questi
ambiti, tuttavia, è spesso superficiale e fantascientifico e a volte riflette
piuttosto una sorta di nuova ideologia che una vera trasformazione del
pensiero.
Da questo punto di vista David Bohm è invece di un esemplare
rigore. Egli è rimasto fino in fondo rigorosamente scienziato e il suo lavoro è
un contributo sostanziale alla corrente principale del pensiero fisico moderno.
Ma nello stesso tempo non ha rinunciato a essere filosofo e essere umano che si
interroga sul senso dell'esistenza.
Ho incontrato David Bohm due volte e le circostanze di quegli
incontri sono in qualche modo significative delle valenze scientifica,
filosofica e spirituale della sua ricerca. La prima volta è stato a Varenna,
verso la fine degli anni Sessanta, a un congresso sui fondamenti della fisica
quantistica. Erano incontri tecnici, per addetti ai lavori, benché i problemi
filosofici vi occupassero un posto importante. Vari anni dopo, quando ormai da
tempo non mi occupavo più attivamente di fisica, l'ho ritrovato ad Alpbach, in
Tirolo, all'inizio degli anni Ottanta. Questa volta era una conferenza su
scienza e spiritualità: erano presenti il Dalai Lama, religiosi cristiani,
monaci Zen. Era ancora lo stesso inconfondibile David Bohm, rigoroso,
articolato, preciso fino alla pignoleria, e insieme con quell'aria goffa,
innocente e vagamente spaesata che lo faceva corrispondere tanto bene
all'immagine popolare del classico scienziato.
Il mondo indeterminato
Il grande problema da cui il lavoro di Bohm prende le mosse è
quello dell'indeterminazione quantistica. Quando i quanti di energia di Planck
si furono sviluppati in una teoria fisica (relativamente) compiuta e coerente,
divenne immediatamente evidente che la 'realtà' descritta dalla nuova teoria
aveva caratteristiche quanto meno insolite. In essa le particelle che
costituiscono la materia non sono pensabili come piccoli oggetti in movimento
nello spazio, ma piuttosto come 'nuvole di probabilità' di eventi, che un
processo di misura va a sondare e fa
precipitare in un evento ben definito.
Se osserviamo, per esempio, la posizione di un elettrone (o di
una qualsiasi altra particella), non possiamo immaginare che l'elettrone sia già
localizzato in un certo punto dello spazio prima della misura. Esso è invece in
un certo senso diffuso, sparpagliato, più addensato in certe regioni, meno in
altre, si trova in una sovrapposizione di
stati localizzati in punti diversi. La sua posizione è perciò indeterminata. Ma
non appena si esegue una misura della posizione l'elettrone precipita in una posizione ben definita. Lo
stesso vale per qualsiasi altra grandezza osservabile e per ogni altro sistema
microscopico.
La natura di questa indeterminazione quantistica merita qualche
parola di chiarimento, per distinguerla da un altro tipo di indeterminazione che
ci è molto più familiare. Una suggestiva metafora per illustrare questa
distinzione è utilizzata da Ortoli e Pharabod nel libro # Le cantique des
quantiques , Editions de la découverte, Parigi 1986 (che è un'ottima
introduzione ai problemi filosofici della fisica quantistica).
Immaginiamo uno stagno fangoso in cui stiamo pescando. Nello
stagno nuota un pesce, ma non siamo in grado di vederlo perché l'acqua è
torbida. A un certo punto il pesce abbocca. Solleviamo la canna e lo vediamo
attaccato all'amo. In una situazione del genere supponiamo naturalmente che, un
attimo prima di abboccare, sia venuto a trovarsi precisamente nel punto in cui
c'era l'amo. Fino a un attimo fa non eravamo in grado di dire dove si trovasse:
la sua posizione era in un certo senso per noi indeterminata. Ma non si trattava
di una indeterminazione intrinseca, irriducibile. Essa era legata soltanto a
un'incompleta informazione da parte nostra su una realtà che era in se stessa
determinata.
Per capire alcune considerazioni che farò in seguito è utile
tradurre queste cose nel linguaggio della statistica. La statistica si serve di
un artificio concettuale, che consiste nell'immaginare un gran numero di sistemi
identici, distribuiti in tutti gli stati compatibili con le informazioni di cui
disponiamo. La nostra ignoranza si riflette allora nel fatto che non sappiamo
con quale precisamente dei sistemi dell'insieme abbiamo a che fare. Nel nostro
caso, possiamo immaginare un gran numero di stagni identici con dentro
l'identico pesce in tutte le posizioni possibili. Finché il pesce non abbocca,
non sappiamo con quale precisamente degli stagni possibili abbiamo a che fare.
Ma ciò non toglie che in ciascuno stagno possibile il pesce occupi una posizione
ben definita. L'insieme degli stagni possibili si ripartisce in sottoinsiemi di
stagni in cui il pesce occupa la stessa posizione. Quando il pesce abbocca,
sappiamo a quale sottoimsieme appartiene lo stagno reale in cui stiamo pescando.
Tutto questo è molto naturale.
Immaginiamo ora che il pesce sia una particella quantistica e la
canna, la lenza e l'amo siano un apparecchio che ne misura la posizione. Anche
in questo caso, finché non eseguiamo la misura, la posizione del pesce è
indeterminata. Ma si tratta di un'indeterminazione diversa e più radicale.
Piuttosto che a un pesce normale, la particella assomiglia a un pesce solubile, che, prima di abboccare, si
trova diffuso in tutto lo stagno, più densamente in certi punti, meno densamente
in altri. L'indeterminazione della sua posizione non è soltanto una carenza di
informazione da parte nostra.
Se di nuovo pensiamo statisticamente e immaginiamo un insieme di
stagni identici, questa volta non c'è modo di ripartire l'insieme in
sottoinsiemi di stagni con una posizione del pesce ben determinata. L'insieme è
assolutamente omogeneo, rappresenta uno 'stato puro': in ciascuno degli stagni
possibili il pesce è disciolto in tutto lo stagno. La situazione non è
ulteriormente riducibile. Dove è più addensato abbiamo più probabilità di
pescarlo, dove è meno addensato ne abbiamo meno. Ma la sua posizione è
intrinsecamente indeterminata.
Ciononostante, miracolosamente, nel momento in cui il pesce solubile
viene pescato la sua natura diffusa istantaneamente si condensa e precipita in un
pesce reale, perfettamente localizzato, appeso all'amo.
Il problema della misura
Si tratta in verità di uno stato di cose assai strano. Un primo
fondamentale problema che esso solleva è come esattamente avvenga questa precipitazione
del pesce solubile in pesce reale. E' questo il cosiddetto
problema della misura nella fisica quantistica, che ha tormentato (e
entusiasmato) generazioni di fisici teorici e che rimane a tutt'oggi insoluto. I
tentativi di soluzione si possono dividere, grosso modo, in due grandi classi,
che potremmo chiamare idealista e materialista.
Secondo la soluzione idealista , proposta per la prima volta in
forma rigorosa da Von Neumann negli anni Trenta, la precipitazione del pesce
solubile in pesce reale avviene nel momento in cui lo vediamo attaccato all'amo
e precisamente per effetto dell'intervento della nostra coscienza di
osservatori. In questa linea di pensiero si ammette che in se stessa la presa di
coscienza da parte di un osservatore, indipendentemente da ogni processo
materiale, agisca sulla realtà fisica.
Si tratta indubbiamente di una scelta estrema e per giunta di un
tipo non particolarmente congeniale ai fisici. Possiamo immaginare che Von
Neumann e gli altri che l'hanno seguito siano stati indotti ad adottarla
soltanto da certe gravi difficoltà della soluzione materialista , a
cui accennerò fra breve. Ma, se la soluzione materialista
presenta serie difficoltà matematiche, la soluzione idealista
presenta difficoltà filosofiche che non sono da meno.
Cosa succede infatti se eseguiamo una misura senza che un
osservatore vada a leggerne il risultato? Succede che, dal punto di vista
idealista, l'apparecchio di misura stesso viene a trovarsi in una situazione
indeterminata, in una sovrapposizione di stati insieme al sistema microscopico
osservato. Per esempio, se la nostra canna da pesca fosse dotata di un
dispositivo di sollevamento automatico quando il pesce abbocca, verrebbe a
trovarsi in una sovrapposizione di stati sollevata con pesce e non sollevata senza pesce
.
Da ciò discendono paradossi di ogni genere. Il più famoso è
forse il 'gatto di Schrödinger'. Immaginiamo di avere un gatto rinchiuso in una
scatola e un certo dispositivo automatico che, quando l'apparecchio di misura dà
un certo risultato (per esempio, quando la canna è sollevata), uccide il gatto,
mentre quando si ha un risultato diverso non lo uccide. Allora, finché un
osservatore non guarda nella scatola, il gatto viene a trovarsi in una
sovrapposizione di stati di vita e di morte. Oltre ai pesci solubili
(che, ricordiamo, sono per ipotesi sistemi quantistici microscopici, non
direttamente percettibili), veniamo ad avere un gatto solubile
(che invece è un vero gatto, che si può
vedere e toccare), simultaneamente vivo e morto. Se poi la scatola è dotata di
un dispositivo di apertura automatico, uno dei due stati sovrapposti del gatto
(quello vivo) può uscire e andarsene in giro, causando ogni sorta di altre conseguenze
solubili (mentre l'altro stato giace morto nella scatola). Tutto
questo finché la coscienza di un osservatore non interviene a far precipitare
l'intera catena di eventi indeterminati in un senso o nell'altro.
Si tratta evidentemente di una situazione da pazzi e questo tipo
di soluzione, benché non manchi di sostenitori illustri, non gode di molto
credito presso la maggioranza dei fisici. Molto più gradita ai fisici sarebbe
una soluzione materialista del problema della misura, che
legasse la precipitazione della sovrapposizione di stati all'interazione fra
sistema microscopico e apparecchio di misura, indipendentemente dall'intervento
di un qualsiasi osservatore (o, in altre parole, attribuisse la condensazione
del pesce solubile al processo fisico con cui viene pescato, indipendentemente
dal fatto che qualcuno guardi o meno).
Disgraziatamente una soluzione di questo tipo presenta
formidabili difficoltà. La ragione di fondo di ciò è il fatto che lo stato
diffuso del pesce solubile e quello condensato del pesce reale sono fra loro
radicalmente disomogenei: un'evoluzione temporale che abbia certe ragionevoli
proprietà non riesce a far passare dall'uno all'altro stato. Si possono
dimostrare certi risultati di equivalenza approssimata, ma un passaggio rigoroso
fra i due stati non è compatibile con certe assunzioni di fondo della fisica
quantistica. La precipitazione del pesce solubile resta a tutt'oggi un
mistero.
I parametri nascosti
Malgrado gli immensi successi pratici della fisica quantistica,
questi dilemmi e paradossi portarono fin dall'inizio alcuni fisici a mettere in
dubbio il carattere fondamentale della teoria. Fra questi vi era lo stesso
Einstein, che era stato insieme a Planck uno dei precursori della fisica
quantistica.
L'insoddisfazione di Einstein nei confronti della fisica
quantistica era radicale: l'esistenza stessa di una indeterminazione
irriducibile, la concezione del mondo subatomico fatto di pesci solubili,
gli appariva insoddisfacente. Il suo commento che
DIO NON GIOCA A DADI è rimasto famoso. E' vero, al livello studiato dalla
fisica quantistica indiscutibilmente le cose si comportano come pesci solubili,
anziché come pesci reali. Ma non potrebbe esservi un livello sottostante, per
ora sconosciuto, in cui le cose tornano a comportarsi ragionevolmente? Questa
ipotesi di un livello sottostante alla fisica quantistica, dotato di un
comportamento determinato, va sotto il nome di ipotesi, o teoria, dei parametri nascosti
.
Il senso del nome parametri nascosti risulta chiaro se pensiamo
agli insiemi di stagni identici di cui abbiamo parlato. Dal punto di vista della
fisica quantistica ogni sottoinsieme di un insieme di stagni identici in cui
nuota il pesce solubile è equivalente all'insieme di partenza (la posizione del
pesce è altrettanto indeterminata). Ma se esistessero altri parametri, per ora
nascosti, diversi dalle grandezze della fisica quantistica, che individuano la
posizione del pesce? Gli insiemi irriducibili considerati dalla fisica
quantistica non sarebbero allora realmente irriducibili e l'indeterminazione
quantistica rifletterebbe soltanto il fatto che, poiché non abbiamo accesso a
questi altri parametri, ogni insieme che siamo in grado di considerare è una
miscela statistica di situazioni con diversi valori dei parametri (e quindi con
diverse posizioni del pesce).
Questo è l'approccio a cui David Bohm ha dato un contributo
fondamentale. Un primo grande passo del suo lavoro in questo senso è consistito
nel fatto di costruire concretamente un contro-esempio a un famoso teorema
dimostrato da Von Neumann, che affermava l'impossibilità di ogni teoria a
parametri nascosti. Bohm ha mostrato che le teorie a parametri nascosti sono
possibili e perciò che l'indeterminazione quantistica non è inevitabilmente e in
linea di principio irriducibile. Ha mostrato che possiamo immaginare una teoria
più fondamentale, sottostante alla fisica quantistica, con caratteristiche molto
diverse da essa.
Ma è interessante notare subito che non si tratta di una
restaurazione del buon senso ordinario, offeso dalle stranezze della fisica
quantistica. Se la speranza che sosteneva i primi tentativi di teorie a
parametri nascosti negli anni Trenta era quella di ritrovare un solido e ben
ordinato mondo di COSE, localizzate nello spazio e nel tempo,
dotate di proprietà ben definite e di un'ordinata logica aristotelica, in cui
una cosa è
A
o non A
, quella speranza è
definitivamente tramontata. No, la realtà sottostante alla fisica quantistica
che Bohm suggerisce è più complessa di così, e anche più
interessante.
Una sua caratteristica fondamentale è l'unità di tutta la
realtà. In questa visione l'esistenza separata di oggetti, soggetti,
osservatori, sistemi osservati, è solo un'approssimazione pratica, che vale
eslusivamente a un certo livello e entro certi limiti. Già la teoria della
relatività per certi versi suggeriva una visione unitaria della realtà, in
termini di campi estesi attraverso tutto lo spaziotempo. La fisica quantistica
rafforza questa visione, in quanto in essa sistemi che abbiano interagito fra
loro a un certo istante restano per sempre inseparabilmente accoppiati. Nella
teoria di Bohm la visione unitaria della realtà diviene ancora più radicale: i
singoli sistemi, le particelle o gli insiemi di particelle, non esistono
affatto. Essi non sono pensabili come enti separati interagenti fra loro. Sono
piuttosto simili a immagini che si formano e si disfano in un caleidoscopio o a
vortici che si formano e si disfano nella corrente di un fiume. I vortici
esistono solo temporaneamente e sono solo una realtà in una certa misura
fittizia e arbitraria ritagliata nel flusso continuo della corrente. La sola
realtà ultima è la corrente indivisibile del movimento universale.
In seno a questo movimento esistono vari livelli di ordine, in
generale IMPLICATI, ripiegati all'interno della
corrente, non percettibili dai nostri sensi. Ma il flusso ininterrotto del
movimento porta continuamente alcuni aspetti a dispiegarsi, a
divenire
ESPLICATI
o
manifesti, percettibili, per poi tornare a immergersi nel tutto, mentre altri
aspetti implicati emergono e divengono esplicati. La fisica classica, quella che
studia gli oggetti macroscopici, percettibili dai nostri sensi, prende in
considerazione solo il livello esplicato o manifesto del movimento della realtà.
Questo livello non è ovviamente autonomo, non è retto da una legge propria: esso
dipende in primo luogo dal livello sottostante, che è quello studiato dalla
fisica quantistica. Ma neppure quest'ultimo, dice Bohm, rappresenta una
descrizione autonoma della realtà, poiché dipende da livelli implicati ancora
più profondi. Il passaggio da pesce solubile a
pesce reale , per esempio, è incomprensibile al livello della fisica
quantistica perché entrambe le forme , pesce
solubile o pesce reale, sono soltanto aspetti emergenti di una realtà
implicata sottostante ed è in questa realtà implicata sottostante che va cercata
la legge del loro movimento.
Il realismo alla prova
A che punto siamo oggi rispetto a questa profonda problematica,
che riguarda la nostra concezione stessa della realtà? Lo sviluppo recente forse
più rilevante parte da un elegante teoremino dimostrato da J.S. Bell nel 1964.
Il teorema di Bell è un esercizio relativamente semplice di teoria degli
insiemi, che è la teoria con cui oggi viene introdotta la matematica nelle
scuole elementari: eppure le sue conseguenze, quando esso viene applicato alla
fisica quantistica, sono importantissime.
Come ho accennato sopra, la fisica quantistica prevede che,
quando due sistemi, per esempio particelle subatomiche o atomi, interagiscono
fra loro e poi si separano, le loro proprietà restino correlate in maniera
inscindibile. I due sistemi continuano di fatto a costituire un unico sistema, i
cui stati intrecciano fra loro gli stati
dell'uno e dell'altro sistema. (E' questo il cosiddetto paradosso di einstein , Podolski e Rosen o paradosso
EPR. Per maggiori dettagli in merito, così come per una descrizione
dell'idea generale degli esperimenti di cui dirò fra poco, vedi i paragrafi 4.3,
5 e 13 del quarto capitolo di questo libro.) Bell ha dimostrato che, se possiamo
considerare i due sistemi come oggetti reali, dotati di proprietà ben definite,
le misure eseguite sui due sistemi dopo la separazione devono soddisfare una
certa disuguaglianza. La fisica quantistica invece viola questa
disuguaglianza.
Siamo dunque allo scontro frontale fra l'universo del buon senso
ordinario, fatto di cose, e il mondo
fantasmagorico della fisica quantistica, fatto di
pesci solubili. E' possibile sottoporre la questione a una verifica
sperimentale, decidere praticamente chi ha ragione?
In sé l'esperimento è piuttosto semplice, salvo per un aspetto,
che è problematico. Perché il confronto sia veramente significativo, dobbiamo
essere certi che le particelle, una volta separate, non siano più in grado di
scambiarsi messaggi fra di loro. Anche
quando secondo la fisica oggi nota non c'è nessuna interazione evidente che le
colleghi, non possiamo escludere l'esistenza di una qualche interazione
sconosciuta. A meno di eseguire le misure tanto rapidamente che le particelle
non abbiano tempo di inviarsi un segnale senza superare la velocità della luce.
Eseguito in questo modo l'esperimento mette alla prova tutta una classe di
teorie possibili, quella delle cosiddette teorie realistico -
locali. Cioè: se il mondo è fatto di oggetti reali con proprietà
ben definite e capaci di interagire fra loro solo con segnali che non superino
la velocità della luce, delle misure eseguite su sistemi separati nello spazio
che si susseguano tanto rapidamente da non permettere uno scambio di
informazione fra i due sistemi devono necessariamente soddisfare la
disuguaglianza di Bell. La fisica quantistica (che non è una teoria
realistico-locale), come ho detto, viola questa disuguaglianza.
Per vari anni l'esecuzione di misure tanto veloci ha
rappresentato un formidabile problema tecnico. Ma all'inizio degli anni Ottanta
(poco dopo l'uscita di questo libro nel 1980) esperimenti di questo tipo sono
diventati fattibili. Essi sono stati eseguiti più volte ed è ormai praticamente
certo che la disuguaglianza di Bell viene violata. Sembra dunque che il mondo
non sia descrivibile per mezzo di teorie realistico-locali. In altre parole: a
meno che esistano interazioni che si propagano più velocemente della luce,
possiamo affermare con ragionevole certezza che il mondo non è fatto di cose localizzate nello spazio e dotate di
proprietà oggettive.
Pensare in modo nuovo
Oggi non siamo in grado di dire se la teoria di Bohm degli
ordini implicati possa essere sviluppata in maniera completa e se possa essere
confermata sperimentalmente. Gli esperimenti sul paradosso EPR (sulla
disuguaglianza di Bell) dimostrano inequivocabilmente che, se c'è qualcosa che
sta oltre o sotto il livello di realtà della fisica quantistica, questo qualcosa
non può soddisfare i criteri del realismo classico, bensì dev'essere piuttosto
del tipo dell'ordine implicato di Bohm. Anche per la teoria dell'ordine
implicato, tuttavia, i risultati degli esperimenti sul paradosso EPR comportano
certe difficoltà, secondo Bohm non insuperabili.
In ogni caso la teoria di Bohm rappresenta oggi il più
interessante e promettente tentativo di andare al di là della fisica
quantistica, verso una teoria radicalmente nuova. Essa apre una via di ricerca e
solo il futuro ci dirà se e quanto essa sia percorribile e proficua. Ma già allo
stato attuale delle cose essa porta un contributo importante sia alla fisica sia
al pensiero in generale.
Un contributo importante di Bohm alla fisica, al di là dei
contenuti specifici della sua teoria, sta nel fatto di aver mostrato come, anche
quando un paradigma scientifico (come quello della fisica quantistica) è
trionfante e domina le menti di generazioni di scienziati al punto da apparire
dotato di validità del tutto universale, sia comunque possibile rileggere i
fatti in una chiave diversa, cogliendone altri aspetti rilevanti e vedendo in
essi un ordine diverso. In questo modo i fatti
stessi (che, Bohm ci ricorda, non sono dati oggettivi indipendenti dalla
nostra visione della realtà, bensì sono prodotti dal fare umano) si trasformano: una nuova visione
suggerisce nuovi fatti e nuovi esperimenti. La conoscenza, dal punto di vista di
Bohm, è un processo infinito e fluido (come la realtà stessa). L'errore
fondamentale, a qualsiasi stadio, consiste nello scambiare il contenuto delle
nostre rappresentazioni per una descrizione ultima della realtà.
Ma il senso e l'influenza del lavoro di Bohm va oltre l'ambito
strettamente scientifico. Come ho accennato sopra, il nostro pensiero e lo stile
del nostro agire riflettono una metafisica vecchia. Un appassionato invito che
Bohm rivolge ai lettori di questo libro è l'invito a pensare in modo nuovo, in
modo più coerente con l'immagine fluida della realtà che emerge dalla fisica
moderna. Le caratteristiche principali di questo nuovo modo di pensare sono una
visione radicalmente unitaria del tutto e una radicale mobilità di ogni forma di
conoscenza.
Il vecchio pensiero si riferisce a un mondo fatto di cose
separate e oggettivamente esistenti. La sua struttura, così come la struttura
del linguaggio che lo esprime, contiene una funzione di frammentazione, di
separazione, di divisione. Un mondo che si pensa in questo modo è un mondo
diviso: un mondo in cui ogni essere umano è diviso da sé, dagli altri esseri
umani, da tutte le altre forme di vita e dal resto della natura. Questo pensiero
ha inoltre un carattere di fissità, di apparente oggettività, che ce lo fa
apparire come una descrizione fedele delle cose 'così come sono'. Si tratta di
una nefasta illusione: la realtà è fluida e indivisa. Ed è importante che il
pensiero rifletta questo carattere fluido e indiviso della realtà.
La nostra epoca è caratterizzata da una distanza particolarmente
grande fra la potenza dei
giocattoli tecnologici di cui disponiamo, frutto di un pensiero
scientifico-tecnico raffinato, e lo sviluppo della nostra sensibilità e della
nostra visione del mondo in senso più generale. Un pensiero che tende a
frammentare le cose e a perdere di vista la totalità ha conseguenze limitate
finché gli strumenti di cui dispone sono limitati. Ma quando la portata di
questi strumenti diviene veramente globale, è cruciale che il pensiero che ne
guida l'uso subisca una corrispondente evoluzione. L'approccio di David Bohm e
la metafora degli ordini implicati esercitano già una notevole influenza su
certe correnti di pensiero contemporanee. Questo libro è un invito a far sì che
un modo di pensare fluido e capace di cogliere la fondamentale unità di tutta
l'esistenza permei anche il nostro vivere quotidiano e contribuisca a creare un
mondo più armonioso.
Augusto Sabbadini (Shantena) ha lavorato come fisico teorico
presso l'Università di Milano e presso l'Università di California a Santa
Barbara, studiando il problema della misura nella fisica quantistica e le stelle
di neutroni.